L’app: non diagnostica ma pur sempre utile
Sullo schermo del tablet compare lo spazio tridimensionale in cui ci si trova. L’app chiede di sistemarvi tre oggetti simbolici toccando lo schermo. Una volta sistemati, gli oggetti scompaiono. Poco dopo bisogna ritrovarli con il tablet davanti. Contemporaneamente, ad ogni segnale acustico, si deve toccare un pulsante sullo schermo. È una delle due prove che bisogna eseguire. Alla fine, il programma valuta se sussiste un disturbo cognitivo basandosi su fattori quali la capacità del soggetto esaminato di fare più cose contemporaneamente.
«Per gran parte delle persone che si sono sottoposte al test, il risultato dell’app non si è discostato da quello che sarebbe emerso da un esame standard tradizionale», afferma il professor Daniel Rüfenacht, specialista in neuroradiologia, che ha seguito lo studio in Svizzera presso la clinica Hirslanden di Zurigo. Nonostante l’elevata precisione dell’app, le mediche e i medici di famiglia hanno comunque dovuto usarla quanto meno assieme a un questionario standard. «L’app non sostituisce un esame clinico successivo, purtroppo più costoso», aggiunge il professore, «e in ogni caso è sconsigliato usare l’app come strumento di autodiagnosi». Non solo per il rischio di sbagliare diagnosi: che sia attraverso un’app o un test, la diagnosi di un rischio elevato di Alzheimer deve essere accompagnata da opzioni d’intervento da sottoporre agli interessati.
Cionondimeno, per Rüfenacht vale la pena usare quest’app: «Nel 15 per cento degli ultrasessantenni, dopo un intervento chirurgico si manifestano delirium o i primi sintomi di una demenza vascolare». In medicina questo si chiama disfunzione cognitiva postoperatoria o POCD (post operative cognitive disease). Il professore spiega che riguarda i pazienti il cui cervello è più sensibile o vulnerabile a causa di una cattiva circolazione sanguigna. Proprio in questi soggetti l’app consentirebbe di individuare in anticipo eventuali fragilità cognitive. «Così potremmo modificare in anticipo, ad esempio, una pressione sanguigna spesso troppo bassa durante la narcosi e ridurre il numero di questi casi». Per Rüfenacht, questo è già un buon motivo per utilizzare l’app e per farla perfezionare.
Demenza frontotemporale: rara e tutt’altro che inconfondibile
La classica forma di FTD, un tempo chiamata anche morbo di Pick, è quasi sempre caratterizzata da alterazioni della personalità e del comportamento interrelazionale. All’inizio, le persone colpite diventano sempre più superficiali e distratte e trascurano doveri e igiene. Normalmente, però, i malati non si accorgono dei propri cambiamenti. Spesso chi è affetto da FTD manifesta disinibizione sociale che si traduce in logorrea, osservazioni inopportune e smoderatezza nel bere e nel mangiare. Un’altra caratteristica è la disinibizione sessuale. Le persone affette da FTD faticano o non riescono assolutamente a essere empatiche. Risulta deteriorata anche la capacità di pianificazione, organizzazione e giudizio.
Diverse forme di demenza
Diagnosi più rapida grazie a un questionario
La diagnosi precoce è uno dei temi al centro anche del secondo progetto diretto dal Dr. Marc Sollberger della Memory Clinic di Basilea: in questo caso, lo strumento è un questionario destinato ai familiari del paziente. Basato sulle ultime scoperte, esso consentirebbe alle mediche e ai medici di diagnosticare precocemente la demenza frontotemporale (FTD). Le risposte dei familiari possono anche aiutare a distinguere la FTD da altri disturbi neurologici. Infatti, il morbo di Parkinson, le forme medio-gravi di depressione e un determinato tipo di Alzheimer presentano anomalie comportamentali simili. Anche le mediche e i medici rischiano di confondere la FTD con un altro disturbo psichico. Poiché spesso questa forma rara di demenza (v. diagramma) porta con sé anche un comportamento disinibito nei confronti del/della partner, spesso una FTD incipiente viene «liquidata» come un problema di coppia.
Anche in caso di FTD è utile una diagnosi precoce per poter trattare adeguatamente i pazienti con terapie farmacologiche e non. Così, è possibile contrastare i problemi comportamentali, cosa che a sua volta semplifica la vita quotidiana dei pazienti e in particolare dei loro familiari.
Terminata la prima fase dello studio, durante la quale presso la Memory Clinic di Basilea sono state intervistate 240 persone sane e i loro familiari, prenderà il via la cosiddetta fase di convalida, durante la quale entro la fine del 2022 cinque cliniche testeranno le domande su 280 pazienti affetti da diversi disturbi neurologici.
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