Che cosa è avvertito come particolarmente difficile dai familiari?
La demenza sovverte sempre le basi delle relazioni, poiché cambiano i ruoli e le responsabilità. A un certo punto l’interazione con il malato diventa un esercizio di equilibrio tra autonomia e assistenza. Fino a quando il mio partner potrà ancora decidere? Quando potrò o dovrò essere io a scegliere senza coinvolgere mia madre malata di demenza? Per dare il miglior sostegno possibile alla persona malata, i familiari si sentono come in dovere di rimanere in salute a lungo e di riuscire ad affrontare la situazione con poco o nessun aiuto esterno.
È risaputo che spesso i familiari trascurano la propria salute. Perché?
Tutto ruota attorno al partner malato che, con la progressiva perdita di autonomia, richiede un’attenzione crescente. Spesso i familiari non si ritagliano tempo per sé stessi e le loro esigenze pas-sano in secondo piano. Per esempio, rimandano gli appuntamenti non urgenti dal medico o dal denti-sta semplicemente perché mancano loro il tempo e l’energia. Incontro di frequente familiari molto provati. Il loro sfinimento si fa sentire solo quando non devono (più) rivestire il ruolo del familiare cu-rante, per esempio se riescono ad andare in vacanza da soli oppure quando i loro partner entrano in un istituto.
Perché è così difficile badare anche al proprio benessere?
Molti familiari sono chiamati ad affrontare una scelta difficile: pensare alla propria salute per loro significa trascurare la persona malata. Cercano sempre di superare da soli i piccoli, ma continui cambiamenti. In nome della promessa di perenne fedeltà nella salute e nella malattia, oppure perché non vogliono ancora ammettere che le loro forze si stanno esaurendo, ricorrono spesso molto tardi a un aiuto esterno, per esempio un servizio di sgravio o di cure a domicilio.
Come si accorgono di essere troppo sollecitati?
In base alla mia esperienza, la gestione del malato di demenza si muove lungo una sottile linea di demarcazione tra amore e odio. Questi due poli contrapposti sono del tutto normali poiché si oscilla tra l’amore al di sopra di ogni cosa e l’incomprensione più assoluta. Quando la rabbia sfrenata prende sempre più il sopravvento è importante cercare un aiuto professionale per ritrovare l’equilibrio e, magari, l’amore.
Perché è difficile chiedere aiuto a terzi?
È fondamentale avere fiducia che il proprio caro sia in buone mani. Noto ripetutamente che i familiari vogliono proteggerlo da tutto ciò che è negativo, dimenticandosi che la vita è fatta per tutti di sensa-zioni belle e brutte. Talvolta si rifiuta l’idea che la persona malata possa essere anche triste o arrabbia-ta. Eppure può succedere, per esempio se è stato deciso che vada in vacanza una settimana in modo che i familiari abbiano la possibilità di recuperare le forze. Spesso sono gli amici o i professionisti a far notare che è giunto il momento di concedersi una pausa. La visione di qualcuno che vive la situazione dal di fuori è utile per verificare la propria percezione e cambiare.
Che cosa aiuta i familiari a fronteggiare meglio la situazione?
Credo che il contatto con le persone accomunate dallo stesso destino sia un sostegno importante. Offrono l’occasione di sfogarsi e di definire chiaramente le proprie sensazioni. Ma i partecipanti si confrontano anche sulle risorse, prendendo consapevolezza delle proprie e scoprendone di nuove. Questi gruppi di dialogo fungono da valvola di scarico, ma sono anche una fonte di incoraggiamento e di ispirazione. Sono oasi importanti e possono alleviare le tensioni in famiglia e tra gli amici. Non rintanarsi in casa, rimanere attivi, uscire e mantenere i contatti umani sono fattori importanti per riprendere fiato e ricaricare le batterie.
A mio avviso un colloquio aperto sulla demenza è essenziale per sentirsi meglio. Ritengo che la malattia continui a essere mal compresa. La demenza rimane impercettibile a lungo agli occhi degli estranei. I vicini, per esempio, pensano che la persona malata sia ancora molto vitale e autonoma. A loro volta i malati sviluppano strategie di autotutela per salvare le apparenze e non far notare i propri problemi. Inoltre disorienta l’instabilità: per esempio oggi la persona malata non riesce ad allacciarsi le scarpe, ma domani ce la fa, poi non più. A fronte di tutte queste problematiche i familiari hanno ripetutamente l’impressione che le loro preoccupazioni non siano prese in sufficiente considerazione. Spesso è utile discuterne in un gruppo di familiari per riuscire a cogliere la prospettiva della persona malata e di tutti coloro che le vivono vicini. Parlare apertamente della malattia fa in modo che anche gli amici e i cono-scenti percepiscano i cambiamenti.
Ha parlato dei gruppi di familiari. In che cosa consistono?
In questi gruppi si incontrato i familiari di persone a cui è stata da poco diagnosticata la demenza, che si trovano già in casa di cura oppure che sono morte. È importante ascoltare gli altri per capire cosa si do-vrà affrontare, ma anche sapere che si può convivere con la demenza e ottenere consigli utili per riu-scirci. Nell’ambito degli incontri i partecipanti sentono di non essere soli con la propria rabbia o la tri-stezza e che è normale provare angoscia di fronte al ricovero in istituto deciso perché si è ridotti allo stremo.
Qual è il momento giusto per l’entrata in una casa di cura?
Non c’è mai il momento giusto. Il ricovero sembra sempre sbagliato, perché è prematuro, il luogo non è idoneo o le persone sono inadeguate. Ammettere che non esiste il momento ideale è già un sollievo e consente di prendere una decisione razionale, soppesando i pro e i contro. Spesso aiuta anche par-larne con i propri conoscenti o i professionisti che presentano la situazione per quella che è e fanno capire che è ora di cambiare.
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